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Psychè: definizione

Il termine psyché (in greco ψυχή, legato alla parola ψύχω) significa “soffio”, “respiro vitale” che per gli antichi greci coincide con anima in quanto all’epoca la si intercettava nel respiro.

Molte teorie filosofiche, alcune antichissime, sono centrate proprio sul concetto di anima o psyche.

Nella tradizione greca, come ho accennato, Il concetto di anima era considerato come spirito vitale del mondo e “soffio” che anima l’organismo vivente. L’anima non era solo responsabile delle funzioni mentali o psicologiche come il pensiero, la percezione, il desiderio, la moralità, ma comprendeva anche le funzioni vitali tipiche degli organismi viventi.

Nell’epica Omerica l’anima è lo spirito che risiede nel corpo umano e che fuoriesce da esso, dopo la morte, attraverso la bocca. Dopo la morte l’anima si trasferisce nell’Ade dove rimane intangibile mantenendo la forma fisica del corpo appartenuta durante la vita. In quanto “soffio vitale”, anemos, è stato tradotto in anima nella tradizione filosofica posteriore.

Il concetto è ripreso da Aristotele e da lui meglio definito e teorizzato come causa della vita, cioè “forma” del corpo. Per Aristotele l’anima non era una sostanza distintiva, quindi non era separata dal corpo. Per Aristotele il comportamento consiste nell’attualizzazione delle funzioni dell’organismo. Il comportamento individuale occorre come movimento in relazione ad altre entità (come concetti, organismi o corpi) ed è la realizzazione di multiple possibili funzioni in specifiche situazioni.

Nella concezione platonica, invece, l’anima coincide con il mondo delle idee e la conoscenza è dovuta al ricordo, reminiscenza dell’anima di tutte le idee che ha contemplato in quella dimensione metafisica, a-spaziale, a-temporale, puramente spirituale. A questa anima individuale Platone affianca un’anima universale plasmata da quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco.

Dice Platone: Ebbene ψυχὴ (psyche) dirige ogni cosa, tutte le realtà celesti, terrestri, marine, grazie ai suoi propri movimenti, i quali hanno un nome: volere, analizzare, avere cura, prender decisioni, giudicare bene e male, provar dolore e gioia, coraggio e paura, odio e amore, e tutti gli altri moti che possono essere assimilati a questi e che costituiscono i movimenti primari, guide di quelli secondari – i moti dei corpi – e determinanti in ogni cosa la crescita e la diminuzione, la separazione, e l’unione con quel che ne segue, ossia il caldo e il freddo, il pesante e il leggero, il bianco e il nero, l’aspro e il dolce.

Corpo e anima

Platone definì la sensazione come la comunione di anima e corpo in relazione agli oggetti esterni. Le facoltà appartengono all’anima e lo strumento è il corpo. Platone considerava la Psyche essere l’essenza della persona e classificava l’anima in tre categorie: logos (localizzato nella mente), thymos (localizzato nel torace) e eros (localizzato nell’addome). Nell ’anima così tripartita di Platone ciascuna componente contribuirebbe all’intero organismo per funzionare al meglio.

In tempi meno lontani il concetto di Psyche è riformulato da Cartesio come “res cogitans” cioè come elemento divino calato nell’uomo, contrapponendola al corpo quale “res extensa”.

Dal XIX secolo in poi, con la nascita della psicologia,  il concetto perde i significati mitici per assumere quello di “funzione” cerebrale.

Allo stato attuale di ricerca su cervello e mente si assiste ad una graduale transizione da Psiche come anima a specifici descrittori definiti dai campi di neuroscienze cognitive, comportamentali e integrative.

Ma voglio comunque parlarti dei più noti miti in cui prende forma il concetto di Psyche. Vediamoli qui di seguito…

Il mito di psychè

Il mito in sé, in accordo con Joseph Campbell (1904 – 1987), rappresenta l’umana ricerca per cosa è vero, significativo ed importante.

Campbell argomenta che ciò che noi cerchiamo è “un’esperienza dell’essere vivi”.

In accordo con la sua teoria i miti politeistici possono aiutarci e darci degli ottimi insights psicologici.

Nel mito di Eros e Psyche, storia tratta dalla Metamorfosi di Ovidio attribuita a Lucius Apuleius Madaurensis o Platonicus (II sec. d.C.), Psyche, di incredibile bellezza, era la più giovane delle figlie del re. Così bella, diventa l’attrazione di tutti che le offrono sacrifici e la chiamano Venere (o Afrodite) attirando però l’ira della dea. La divinità, furiosa di gelosia, invia suo figlio Cupido (o Eros) perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto della terra ma, il dio sbaglia mira e la freccia d’amore colpisce sé stesso che si innamora perdutamente della fanciulla. Con l’aiuto di Zefiro, Cupido la trasporta al suo palazzo dove i due giovani si amano ogni notte. Il dio la lasciava ogni giorno prima del sorgere del sole e Psiche non aveva mai visto il suo viso, ma poiché egli la riempiva di attenzioni ed era molto premuroso con lei, la fanciulla capiva che l’amava molto e di altro non si curava. Una volta per sola curiosità femminile, chiese al suo sposo di poter vedere il suo viso, ma Eros le disse che ciò non era possibile e che se gli voleva bene e desidera essere una sposa felice, non doveva più rivolgergli simili domande; doveva rinunciare a vederlo e a sapere chi fosse. Le fece giurare di obbedirgli e se per caso non avesse mantenuto la promessa, sarebbe scomparso e non lo avrebbe più rivisto. Psiche però una notte, mentre Eros dormiva, si avvicinò a lui con una lampada e con grande stupore vide che era bellissimo. Incantata da tanta bellezza, Psiche fece cadere dalla lampada una goccia di olio caldo sul corpo di Eros che subito si svegliò. Il dio vide che la giovane non aveva mantenuto la promessa e adirato la abbandonò. Cominciò così il terribile dolore, dal quale Psiche poté solo fuggire con l’aiuto di Eros.

Ciò che vuole dirci questo mito è che un’unione richiede che alla bellezza del corpo si unisca anche la bellezza dell’anima e non solo…

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