La figura dello psicologo all’interno dell’U.O.C. di Nefrologia e centri Dialisi scaturisce dalla possibilità di implementare un passaggio dal modello di cura “to cure” a quello di “to care” nell’ottica del concetto di “umanizzazione” dell’assistenza, individuando la possibilità che ci si possa “prendere cura” del paziente dalla dimensione cognitiva a quella sociale ed emotivo – affettiva, oltre che organica. Tale condizione garantirebbe quindi lo sviluppo di un programma assistenziale secondo un “modello integrato” che agisce in modo simultaneo e coordinato su più livelli, mirando al miglioramento del clima complessivo del reparto, della qualità di vita dei pazienti, della relazione medico/infermiere-paziente, delle dinamiche relazionali all’interno dell’équipe, alla riduzione del burn-out negli operatori e al miglioramento dell’efficienza delle attività svolte dal Servizio Dialisi.
Una delle problematiche più frequenti nel paziente dializzato è relativa alla gestione disfunzionale delle emozioni: preoccupazione rispetto al proprio stato di salute, impossibilità ad accettare le limitazioni della propria autonomia personale, alterazioni improvvise del tono dell’umore etc..
Quale è il ruolo rivestito dallo psicologo clinico all’interno di questa U.O.C.? favorire l’adattamento ad una nuova condizione esistenziale, favorire l’espressività dei propri vissuti per promuovere il processo di accettazione e adattamento alla patologia, favorire la metabolizzazione delle emozioni e supportare il paziente nel riconoscimento e nella consapevolezza della sua ambivalenza rispetto alla dialisi, accettazione degli aspetti positivi e negativi. Non sottovalutare il ruolo prognostico di ansia e depressione nella patologia nefrologica, laddove un appropriato e tempestivo intervento psicologico può permettere la riduzione del distress emotivo e favorire la diminuzione dei livelli di ansia e depressione, innescare un adattamento virtuoso alle cure e migliorare la compliance terapeutica.
Il ruolo dello psicologo clinico assume grande rilevanza perché un accurato e corretto screening psico sociale preventivo permette di fornire al nefrologo quelle informazioni utili per adattare al paziente il trattamento sostitutivo più idoneo.
L’intervento psicologico non si pone come un protocollo standardizzato adattabile a tutti i pazienti nefropatici, ma data la variabilità individuale, va configurato come un trattamento psicoeducativo personalizzato con la finalità di facilitare anche comportamenti di self – care e modulare adeguatamente le proprie emozioni negative; l’intervento psicologico talvolta comprende anche farsi carico dei familiari. I familiari (caregivers) si trovano a gestire fisicamente ed emotivamente il proprio congiunto per garantirne la sopravvivenza. Ansia, deflessione del tono dell’umore, timore per il futuro sono solo alcuni degli aspetti che condiscono i vissuti dei familiari e non sempre hanno la possibilità di riconoscere e condividere il peso di queste emozioni che spesso sfociano in un vero e proprio disagio.
Lo specialista psicologo si fa carico anche dell’équipe curante che si trova, non solo molto spesso a confrontarsi con situazioni di grande sofferenza, ma a causa del ridotto personale a fare turni inumani e che rischia in certi casi di scivolare in veri e propri casi di burn out. Offrire la possibilità agli operatori sanitari di dare voce ai propri disagi permette di ridurre conflitti e depersonalizzazioni.
Il paziente usufruisce di un supporto specifico e professionale nelle diverse fasi che caratterizzano la patologia nefrologica, dalla predialisi all’inizio del trattamento sostitutivo, fino a tutti i momenti di difficoltà successivi.
In passato occuparsi degli aspetti psicologici, relazionali e comportamentali del paziente in trattamento dialitico era ritenuto secondario rispetto alla sua sopravvivenza; oggi si guarda anche alla qualità della vita. Negli ultimi anni è emersa una maggiore attenzione rivolta alla figura dello psicologo nel settore ospedaliero, in quanto si comprende quanto sia necessario per il paziente associare ad un benessere “fisico” un benessere “psicologico” al fine di migliorarne le sue condizioni
La letteratura offre spunti importanti per rilevare come sia indispensabile un approccio multidisciplinare e multiprofessionale.
Dato l’impatto che i fattori psicologici rivestono sul decorso dell’insufficienza renale cronica sarebbe opportuno per i pazienti che presentano tale patologia, nonché ai suoi familiari e al personale sanitario stesso, avere la possibilità di ricevere un valido intervento supportivo di tipo psicologico che li aiuti ad accettare la presenza di una malattia cronica, a migliorare le strategie di coping per meglio adattarsi ai cambiamenti che essa comporta nella loro esistenza e a ridurre gli effetti di distress emotivo.
(fonte http://www.psychiatryonline.it/)
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