ELABORAZIONE DEL LUTTO
Il lutto e gli operatori:
una necessaria formazione
“Solo coloro che si tengono lontani dall’amore possono evitare la tristezza del lutto. L’importante è crescere, tramite il lutto, e rimanere vulnerabile all’amore.”
(John Brantner)

Dopo il decesso.

Prima di tutto dobbiamo capire il lutto. Elaborare il proprio lutto necessita tempo ed energia, e quando è possibile, una guida competente. Non si possono imporre regole, tempi o metodologie standard. Si può soltanto ascoltare, accogliere, condividere, accompagnare e poi, quando ci sembrerà il momento, proporre delle linee-guida. Vorremmo offrire agli operatori, e a chiunque si avvicini alla situazione del lutto, alcuni punti di riferimento sui diversi tipi di lutto, su quanto è possibile definire una normale elaborazione e sui segni che preludono all’installazione di una situazione di lutto cronico o patologico.

Il lutto normale: E’ spesso considerato dagli autori che su di esso hanno riflettuto, come avente una certa similitudine con la melanconia. Nel 1911, Karl Abraham lo definì una “emorragia interna” e spinse Freud a lavorare sul problema. Per Freud, quello che viene definito il lavoro di lutto, è indispensabile per riacquistare un equilibrio, ma può solo iniziare dopo la fine delle fasi del rifiuto e della collera che avvengono successivamente al decesso. Il processo del lutto segue delle tappe che obbediscono a vari fattori. Secondo la cultura e l’indole della persona in lutto, i segni esteriori variano passando da dimostrazioni apparentemente esagerate e volutamente vistose per tutti ad atteggiamenti più privati, ma non meno sentiti.
Le reali tappe del lutto e le sue espressioni sono però legate alla presa di coscienza della perdita che avviene dopo il rifiuto, la ricerca dell’oggetto perso, l’agitazione, l’apatia... Risulta necessario vincere lo stato di schok. Secondo i casi, si verificano: un peggioramento repentino della salute, una paralisi delle funzioni organiche importanti come il sonno, il mangiare, una profonda stanchezza, una totale apatia, uno stato di collera permanente contro tutti. Segue spesso uno stato di depressione.
Alcuni si manifestano da soli, altri si associano, alcuni non sono forse stati contemplati. I primi segni si verificano a livello somatico: ritmi di vita scombussolati (in relazione alle abitudini), stato vigile e sonno perturbato, agitazione, insonnia, sonni agitati, allucinazioni visive ed uditive... ipersonnia (sonno-fuga). Abitudini alimentari sconvolte (anoressia oppure bulimia, nausee e vomito, perdita del gusto), rischio di alcoolizzazione legato alla solitudine (l’alcool viene utilizzato nella sua funzione di stimolatore e anti-depressore), aumento del fumo, uso di stupefacenti, fuga nel sesso o castità morbosa. Astenia, stanchezza totale, mancanza di tonus, pigrizia anche nel comunicare, parlare rallentato, tono di voce bassa... Tendenze al suicidio, ricerca della morte non riconosciuta (velocità in macchina, in moto, motorino... cercare delle occasioni per provocare la morte senza mettere volontariamente in esecuzione il desiderio inconscio) o negazione del vivere (morire per anoressia, o di malattia per rifiuto manifesto o sospensione delle cure). L’intenzione è di raggiungere il caro deceduto. L’iper-attivismo, la violenza (aggressività verso gli altri o verso se stessi) sono altre manifestazioni dello stesso problema... Ogni scelta di una o altra “soluzione” ha come scopo scappare dalla realtà considerata inaccettabile.
Gli effetti della incapacità di adattarsi alla nuova dimensione di vita si verificano anche a livello intellettuale. Diminuzione delle capacità intellettuali, dell’attenzione e della concentrazione, dell’apprendimento, cattivo funzionamento della memoria, difficoltà nell’esecuzione degli automatismi con la consapevolezza di un cambiamento riduttivo di se stessi. Questa situazione porta un aumento del senso di colpa con un progressivo isolamento dagli altri come auto punizione, e una conseguente perdita di autostima, ciclo vizioso che alimenta la nevrosi.
Lo stesso avviene sul piano affettivo. Tristezza e pessimismo sono l’aspetto dominante del carattere di chi sta nella prima fase del lutto. Nega tutto in blocco, rifiuta spesso l’aiuto degli altri, conoscenti, amici o membri della famiglia. Apertamente, o nella sua solitudine, ha tendenza all’autocommiserazione. Diventa ipersensibile e suscettibile con una tendenza a denigrare gli altri, la loro solidarietà, fino all’aggressione verso di loro e verso se stesso che può spingersi all’autolesionismo.
Nello stesso tempo, la persona vive un forte senso di colpa per la consapevolezza dell’ingiustizia del proprio atteggiamento verso le persone care. La manifestazione della sua ansia può passare dalle crisi di pianto incontrollabile al riso isterico, al compiere atti ripetitivi o discorsi che faceva prima con il defunto, in modo compulsivo. Il senso di colpa è complesso e non identificato chiaramente da chi lo subisce. Va dalla colpevolizzazione per la morte dell’altro, all’autocritica per un’assistenza insufficiente, al non detto, al mal fatto, ad un giudizio esacerbato sugli sbagli e dimenticanze eventuali o peccati commessi. Tutti i ripianti, i sogni infranti e quello che si è sempre rimosso escono adesso alla superficie, in modo disordinato e distruttivo. La tendenza al rifiuto di qualsiasi manifestazione di piacere, anche il più semplice e banale, viene messo a mo’ di regola: rifiuto di incontrare amici cari, di uscire... Fuga da luoghi o da persone che esprimono allegria e che aumentano la propria sofferenza. Un altro aspetto importante che blocca il necessario distacco è l’idealizzazione della persona deceduta. Per alcuni risulta necessario quello che si può definire il processo di santificazione. L’immagine del defunto viene ripulita e glorificata e la persona in lutto si sente investita del ruolo di protettore, difensore, custode della purezza del ricordo.
L’accettazione è l’ultima fase che permette una ricostruzione del proprio Io. E’ il momento in cui si riesce a raccogliere i pezzi del puzzle sparsi ed a ricomporre la struttura della propria personalità. Non si nega più, non si cancella la realtà, la si accetta. L’accettazione intellettuale rende consapevole l’inevitabilità del cambiamento radicale dell’esistenza: la vita non sarà mai più come prima. Il ritorno alla vita quotidiana diventa possibile con l’accettazione della ripresa del proprio ruolo e l’assunzione degli obblighi familiari, sociali e professionali. L’immagine onnipresente del defunto diminuisce, si integra con armonia nella personalità dell’altro, l’arricchisce. Secondo i valori, la cultura, le scelte, i bisogni di ognuno, diventano possibili nuovi attaccamenti affettivi, oppure la sublimazione consapevole nella ricerca di una nuova dimensione della vita. Per riassumere in due parole, trattasi della scoperta di una nuova motivazione esistenziale come risultato finale del processo di elaborazione.

(Fonte www.associazionepauloparra-art.it)

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